Marche, pesca del mosciolo selvatico: le ipotesi della ricerca per salvaguardarla

Vi proponiamo, qui di seguito, un’approfondimento apparso sulla rivista “Ancona (ri)vista a colori” della biologa marina Agnese Riccardi, Dottoranda in scienze della vita e dell’ambiente all’Università politecnica delle Marche, con cui la nostra Federazione in passato ha avuto modo di collaborare apprezzandone qualità e preparazione.

Da biologa marina non ho mai pensato ad un’Ancona senza il Mosciolo. Eppure dovremmo saperlo ormai che le risorse non sono infinite, che il pianeta sta cambiando, arrivano da tempo i segnali che ci fa comodo non cogliere. Ma i cambiamenti climatici cosa c’entrano con la crisi del mosciolo?

Aspettate, facciamo qualche passo indietro e proviamo a fare un po’ di chiarezza su quello che sta accadendo al mosciolo esplorando i punti di vista ambientale, sociale ed economico. Il Mosciolo, in dialetto, è una cozza selvatica, che vive in banchi anche molto densi attaccati a scogli e altri substrati, che nel tratto marchigiano della Riviera del Conero prendetutto un altro sapore rispetto a quella presente nel resto del Mediterraneo. La cozza è un organismo filtratore che si nutre delle particelle organiche presenti in acqua di mare e, in generale, ha un alto valore nutrizionale (proteine nobili, vitamine come la B12 e sali minerali). Quello che differisce la cozza selvatica ‘comune’ dal mosciolo locale, sono le proprietà organolettiche che derivano da particolari condizioni ambientali presenti in questo tratto di costa. O per lo meno presenti fino a qualche tempo fa.

La pesca del mosciolo selvatico lungo il Promontorio del Conero risale già all’inizio del secolo scorso, al tempo praticata con dei “forconi” come forma di sostentamento dai contadini delle località Poggio, Varano, Massignano e Pietralacroce. Ha avuto un primo incremento dopo la seconda guerra mondiale, quando si è iniziato a pescare in apnea con delle imbarcazioni di legno a remi e a scopo anche commerciale, e poi un grande impulso intorno agli anni ’60-’70 a seguito dell’avvento della pesca subacquea e quindi dell’utilizzo di strumenti di prelievo più efficaci. In numeri, parliamo di 80 imbarcazioni, di cui 30 di proprietà della Cooperativa Pescatori di Portonovo, solo queste ultime hanno ottenuto il permesso di operare nella Baia di Portonovo.

Da quel momento, l’attenzione verso il mosciolo è andata sempre più aumentando, sia nell’intensificarsi della pesca commerciale che come parte integrante della cultura di questi luoghi. Col tempo, complice la diminuzione della risorsa (negli anni ’80 i quantitativi pescati erano dell’ordine delle migliaia di tonnellate all’anno, nei primi anni 2000 il quantitativo è sceso ad alcune centinaia di tonnellate) e un basso ricambio generazionale nella professione del “mosciolaro”, le imbarcazioni con licenza sono diminuite a circa 30 unità in tutto nel 2003. Per lo meno questo viene riportato in un disciplinare Slow Food Ancona e Conero del 2007. Forse grazie a qualche visionario, proprio per tutelare e al contempo valorizzare la risorsa economica rappresentata dal mosciolo selvatico, nel 2004 il Mosciolo Selvatico di Portonovo venne istituito come Presidio Slow Food.
Poi nel 2022 la prima interruzione di pesca al mosciolo anticipata al 25 agosto.
Nel 2023, stessa cosa.
Nel 2024 posticipo dell’inizio della pesca da metà Maggio a metà Giugno. Ma l’allarme e la ricerca di un aiuto da parte del mondo scientifico è tardiva.

L’8 Novembre 2023 è stato istituito e convocato dal sindaco Silvetti il primo tavolo di lavoro sulla questione, fortemente voluto in primis dalla Cooperativa Pescatori di Portonovo insieme con la Condotta Slow Food Ancona e Conero. In quella sede erano presenti il Direttore DiSVA Francesco Regoli, il Prof. Carlo Cerrano, la sottoscritta, il Direttore CNR-IRBIM Gian Marco Luna insieme al ricercatore dott. Luca BologniniFrancesca Barchiesi dirigente dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale, Roberto RubegniClaudio Pacchiarotti e Angella Pezzuto come portavoci della Condotta Slow Food Ancona e Conero, Sandro Nicolini e Massimo Mengarelli della Cooperativa Pescatori Portonovo. In quel primo incontro si è discussa la necessità di estendere il tavolo anche ad altre competenze, dall’AST Ancona, alla Capitaneria di Porto, ad altri pescatori professionali e ai centri diving della zona.

Nell’occasione era stato proposto un piano di studio per il “Recupero e Gestione del Mosciolo Selvatico’” da effettuare in due Aree di Ricerca Sperimentale (ARS) che sono state istituite con autorizzazione ministeriale al Passetto e a Portonovo –piano che non è stato possibile mantenere a causa della scarsità della risorsa– al quale è seguito un primo intervento sperimentale, ovvero il posizionamento di mitili di taglia commerciale in quelle aree dove i pescatori ci dicono che è scomparso e non riesce a tornare. Ci sono diverse ipotesi e si stanno quindi portando avanti esperimenti per testarle. Proprio in questi giorni è scattata l’ordinanza che vieta la pesca e ogni altra attività subacquea non finalizzata alla ricerca nelle due aree.

foto: Univpm

Come sottolineato negli anni scorsi in diverse interviste rilasciate ai quotidiani locali da Carlo Cerrano, professore ordinario di Zoologia al Dipartimento di Scienze della Vita e dell’Ambiente (DiSVA) dell’Università Politecnica delle Marche (UnivPM), il problema principale è che non è stato mai commissionato alle istituzioni locali un monitoraggio a lungo termine della risorsa e dei fattori ambientali in cui esso vive. Per questa ragione, al momento, è possibile fare solo delle ipotesi che, anche se basate su evidenze scientifiche, potranno essere confutate solo una volta ottenuti i primi risultati di questi esperimenti. I referenti scientifici del tavolo tecnico sono concordi nell’individuare un insieme di fattori concatenati dietro il declino del mosciolo. Da una parte ci sono fattori ambientali come l’innalzamento delle temperature dell’acqua, la siccità che ha portato a una minore affluenza dei fiumi in mare e di conseguenza meno nutrienti (azoto, fosforo, etc.) utili al fitoplancton, principale fonte di cibo dei mitili, come ci spiega la prof. Cecilia Totti, a capo del Laboratorio di Botanica del DiSVA-UnivPM. Ora si sono aggiunte anche le mucillagini che si depositano ricoprendo i banchi di mitili e altri organismi che vivono sul fondo, compromettendone così la respirazione. Dall’altra, inevitabilmente, ci sono fattori antropici come il prelievo professionale e quello ricreativo molto marcati. Infatti, morie di mitili si sono verificate anche nel Nord e nel Sud Adriatico e sono oggetto di studio condotti rispettivamente dal CNR di Bologna e dall’Università di Camerino. La differenza però è che quegli episodi sono puntuali e verificatisi dopo ondate di calore che hanno portato un drastico innalzamento della temperatura dell’acqua, mentre da noi il declino del mosciolo si è verificato in modo progressivo negli ultimi 20 anni.

Quando si parla di mucillaggini (fig. a sinistra) si parla di aggregati di materia organica, derivante principalmente da essudati di fitoplancton spesso prodotti durante la fioritura della microalga planctonica Gonyaulax fragilis. Al loro interno vive una complessa comunità costituita da diverse specie di microalghe e batteri, che sono presenti in concentrazioni molto più elevate rispetto all’acqua circostante, contribuendo all’allargamento degli stessi aggregati. Formazioni estese sono favorite da condizioni di mare calmo e da una scarsa circolazione. Le mucillagini non sono tossiche di per sé, anche se assorbono tutto quello che incontrano durante i loro spostamenti. Possono essere disgregate da tempeste e mareggiate. Foto Carlo Cerrano

Un passaggio importante nel tavolo di lavoro c’è stato quando, dopo le prime indagini in immersione tra Gennaio e Marzo, ci si è resi conto che la situazione non era affatto buona e, di conseguenza, la parte scientifica ha consigliato di fermare la pesca (per tutti) per tutto il 2024, al fine di provare ad avere qualche chance di recupero per il prossimo anno. Questa proposta evidentemente non è stata accolta e, come ci spiega Roberto Rubegni responsabile Slow Food Ancona e Conero, per questa stagione le barche attive appartenenti alla Cooperativa Pescatori Portonovo saranno due. Pare però che non siano le uniche e che, secondo quanto emerso dalla Capitaneria di porto durante l’ultima riunione del tavolo tecnico, le licenze totali attive si aggirano sulla ventina.

Avete mai provato a fare una stima di quanto mosciolo sia stato pescato negli ultimi 40 anni?. Io si, e con me anche gli altri referenti scientifici. Infatti, i numeri storici delle licenze attive a livello locale e delle quantità pescate e vendute sono stati richiesti sin da subito e si attende ancora risposta. Questo tassello non è affatto un dettaglio trascurabile, considerando che oltre alla pesca professionale anche una componente ricreativa e sportiva non banale (e di pesca illegale, diciamocelo!) incide sulla risorsa, dei quali non abbiamo dati e che sembra davvero complicato stimare. Conoscere la mole di prelievo è essenziale per comprendere quanto questo fattore abbia inciso sulla situazione attuale e quali possono essere le soluzioni di recupero da mettere sul tavolo.

La caccia alle streghe per individuare un “colpevole” non serve a nessuno, per carità, ma accendere un faro su quanto sta accadendo è necessario per provare a recuperare l’importante risorsa ambientale, economica e sociale rivestita dal mosciolo selvatico. A questo proposito, non si può più nascondere la testa sotto la sabbia (per rimanere in tema!) e lentrata in gioco delle amministrazioni e degli enti gestionali locali è fondamentale per poter convergere risorse utili alla messa in opera delle soluzioni proposte e di un costante monitoraggio a lungo termine.

Al momento le proposte sono essenzialmente due, da affiancare ad una gestione adeguata della risorsa, con un piano di protezione a lungo termine che fino ad ora non c’è mai stato e che potrebbe cominciare con un fermo pesca temporaneo durante il quale la risorsa possa avere il tempo di riprendersi. Una proposta già condivisa dai referenti scientifici (anche prima dell’avvio del progetto, vedi in figura articolo del Resto del Carlino del Giugno 2023) e sulla quale si sta lavorando è quella di creare aree dove l’impatto antropico è ridotto al minimo, dove vige il divieto di pesca e di stazionamento e le popolazioni di mosciolo selvatico possano recuperare, crescere e riprodursi affinchè le larve possano poi allontanarsi da queste aree e andare a ripopolare anche le zone limitrofe.

Come misura più a lungo termine, da realizzare in aree chiave con determinate condizioni ambientali, la soluzione potrebbe essere quella di predisporre sul fondo strutture che non solo fungano da substrato per l’attecchimento del mosciolo, ma che vadano a costituire un habitat multi-livello anche per altri organismi di interesse commerciale. Contemporaneamente, queste strutture possono offrire percorsi naturalistici da esplorare, accessibili a subacquei e non, locali e turisti.

Immagine di Carlo Cerrano

Questa seconda proposta, che prevede l’utilizzo di strutture brevettate, è stata presentata a Dino Latini, Presidente del Consiglio della Regione Marche, dal prof. Cerrano e dalla sottoscritta già nel Settembre 2021 e, dopo un primo impulso verso la realizzazione, il progetto si è fermato.
È riemersa ultimamente durante la conferenza di presentazione di “Mosciolando(?) 2024, quando il prof. Roberto Danovaro ha dichiarato di «puntare su dei muretti come barriere naturali in grado di aumentare il ripopolamento» per risolvere la criticità del mosciolo selvatico. Anche Roberto Rubegni, della Condotta Slow Food Ancona e Conero, afferma di trovare la proposta dei substrati interessante. Rimane da capire se, crescendo su un substrato “non naturale”, inteso come non parte dell’ambiente locale ma immesso, il mosciolo che ci crescerebbe sopra potrà essere definito mosciolo selvatico, Presidio Slow Food, oppure risulterebbe cozza allevata.

Entrambe le proposte possono essere portate avanti in parallelo, ma se c’è una cosa certa è che questa situazione va affrontata con l’aiuto di tutti, dagli scienziati alle amministrazioni, dai pescatori professionali a chi pesca il mosciolo una volta all’anno per farsi una mosciolata con gli amici. Non basta dire «ma quello che faccio io non ha un peso» perché tutto ha un peso se sommato al resto. Auto-responsabilizzarsi, auto-limitarsi e seguire le regole (vecchie e nuove) sono i primi passi per far sì che questa importante risorsa locale non scompaia. Troppo facile poi puntare il dito sempre su qualcun altro! Facciamo tutti un sacrificio oggi per avere una soddisfazione domani e smettiamola di essere così so italian (cit.) da tirare fuori il problema solo quando potrebbe essere troppo tardi.

Spero di poter scrivere presto una “seconda puntata” di questa storia e avere qualche buona notizia da raccontare.

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